Pubblicato su politicadomani Num 89 - Marzo 2009

USA - Piano anticrisi
L’approvazione e le spaccature

Spaccatura fra Democratici e Repubblicani per l’approvazione di un provvedimento che dovrebbe salvare gli Stati Uniti dal collasso economico
Maria Mezzina

Il Congresso americano ha approvato il 13 febbraio scorso il piano di misure di sostegno economico per affrontare la crisi. Una lunga maratona di incontri ha “snellito” il provvedimento dagli originali 838 miliardi agli attuali 787 miliardi. Oltre ai soldi sottratti in vario modo agli stati, un risparmio notevole c’è stato per una diminuzione consistente degli aiuti previsti per l’assicurazione sulla salute dei disoccupati, per la costruzione di nuove scuole, e per la riduzione degli incentivi destinati a coloro che decidono di acquistare una nuova automobile o una casa.
Il piano appena approvato è il più costoso dalla fine della seconda guerra mondiale, paragonabile solo al New Deal degli anni ’30, dopo la grande depressione. E tuttavia impallidisce, dicono i commentatori, rispetto a quello di 2.500 miliardi di dollari previsto per sostenere il sistema finanziario.

Nonostante sia chiara a tutti la necessità di varare misure anticrisi per tentare di salvare l’economia americana dal collasso, il piano ha visto fronteggiarsi su posizioni opposte (e inconciliabili) gli schieramenti democratico e repubblicano. Alla Camera hanno votato a favore del provvedimento 246 deputati democratici e contro tutti i 176 deputati repubblicani, a cui si sono uniti 7 democratici. Al Senato, dove occorrevano 60 “si”, hanno votato a favore tutti i 55 senatori democratici - uno dei quali, il senatore democratico dell’Ohio, dopo aver partecipato al funerale della madre è ritornato a Washington per la votazione, che era stata appositamente sospesa -, 2 senatori indipendenti e solo 3 senatori repubblicani del centro moderato.
Motivo della rigida tenuta di posizione da una parte e dall’altra è il fatto che questo piano, per la prima volta, favorisce le spese a scapito dei tagli alle tasse. Esso prevede infatti programmi di spesa pari a 507 miliardi di dollari contro 282 miliardi di dollari in tagli alle tasse a favore, soprattutto, della classe media: fino a 400 dollari per i single e 800 dollari per le famiglie, entro certi limiti di reddito. Una scelta che ha fatto votare contro il piano perfino i senatori di quegli stati che più severamente sono stati colpiti dalla recessione.
I capitoli di spesa più consistenti riguardano progetti di costruzione di opere pubbliche, la scuola e l’educazione, la salute, l’energia e le tecnologie. Il 74 percento dell’intero ammontare è previsto che debba essere speso nei prossimi 18 mesi: si imprime così al processo un ritmo sostenuto per verificare in tempi relativamente brevi la capacità di successo o meno del piano.
Scendendo più nel dettaglio, per quanto riguarda la sanità il piano prevede che coloro che ricevono gli assegni di disoccupazione possano utilizzare i servizi di Medicaid, il programma di tutela della salute previsto per i cittadini più poveri. Le madri e i bambini potranno ricevere i benefici indipendentemente dall’ammontare del reddito. Inoltre, sono previsti sussidi per aiutare i lavoratori che abbiano perso il lavoro a rimanere nei programmi di protezione sanitaria precedentemente pagati dai loro datori di lavoro.
Per quanto riguarda la scuola, raddoppiando in due anni l’attuale budget previsto per il Dipartimento dell’Istruzione, il piano prevede l’uso di 150 miliardi di dollari di spesa aggiuntiva da distribuire fra i distretti scolastici della nazione, i centri di cura per i bambini e le università. Dopo la seconda guerra mondiale, da quando lo stato ha iniziato a spendere nella istruzione cifre consistenti, il piano approvato sembra essere il più grande investimento sull’educazione, che coinvolge pressoché ogni aspetto di questo mondo: dal restauro degli edifici scolastici ai programmi per disabili, dai prestiti agli studenti che iniziano un nuovo ciclo di studi alle borse di studio per studenti bisognosi nei college e nelle università.

Nonostante l’imponenza delle cifre, il piano obbedisce ad una logica che non ha mai abbandonato gli States, anche se in molte recessioni successive a quella del 1929 non sono stati adottati piani anticrisi. La filosofia di fondo è che una diminuzione delle tasse permette una maggiore circolazione di danaro, danaro che serve sia a pagare il cemento delle autostrade, sia a pagare la spesa nel negozio degli alimentari. Si verifica così una situazione per cui è meno probabile che ci sia una caduta di domanda che porterebbe al licenziamento dei lavoratori, con conseguente contrazione della domanda e aggravamento della situazione lavorativa. Tuttavia, visto che negli anni successivi alla grande depressione il taglio delle tasse non aveva prodotto i benefici sperati, sono state pensate politiche monetarie volte a favorire la disponibilità e la circolazione del danaro: la Federal Reserve pensò allora di risolvere il problema rendendo disponibile il denaro a costo pressoché zero, abbassando i tassi di interesse. Tuttavia neanche questa strategia ha funzionato perché i risparmi sulle tasse servivano prevalentemente a ripagare i debiti contratti con le banche e non venivano impiegati in attività produttive capaci di generare nuova economia.
È in questa contesto che si inserisce il piano Obama, il quale non rompe con questa filosofia, ma cerca di navigare nel mezzo limitando al solo 40 percento la strategia del taglio delle tasse come strategia per dare impulso all’economia. Un espediente che ci auguriamo sia di successo, ma che, per ora, ha visto insorgere contro il piano stesso sia i Repubblicani, per i quali quel 40 percento è giudicato esiguo e del tutto insufficiente a dare una svolta alla crisi, sia i democratici, che invece avrebbero preferito un maggiore coraggio nell’affrontare gli investimenti di spesa.

Homepage

 

   
Num 89 Marzo 2009 | politicadomani.it